Le nostre produzioni
BAZIN
BAZIN
Di Giancarlo sepe
André Bazin nato il 1918 e morto nel 1958 è stato il creatore dei Cahiers du cinema e colui che ha trasformato i giovani critici rendendoli poi registi, creando “ la nouvelle vague “. Critico e teorico del cinema, con la sua salute cagionevole non aveva mai perso la gaiezza, né la forza del ragionamento, Bazin era la logica in persona, l’uomo della ragion pura, un dialettico meraviglioso. Egli diceva: “ la funzione del critico non è quella di portare, su un piatto d’argento una verità che non esiste, ma quella di protrarre il più a lungo possibile nella intelligenza e nella sensibilità dei suoi lettori, l’impressione ricevuta dall’opera d’arte “ . Odiava il montaggio e amava il piano sequenza, odiava la morte come atto non riproducibile sulla pellicola perché contraria alla creazione. Cattolico e comunista, nella sua sintesi critica amava dire che il cinema dovrebbe cercare di esprimersi tra Lumiere e Melies: un’insieme tra didattica e fantasia. Per questo non era amato da nessuno.
Come in un film surreale lo spettacolo non ha una narrazione legata alla logica, anzi, sembra che il tutto sia raccontato da un uomo che sente di dover morire, e in quel momento, per paura di dimenticare qualcosa, parla della necessità del cinema e della sua arte. Cos’è la paura di dimenticare la cosa più bella del mondo? Un incubo, una giostra infernale, come se gli stessi attori di cui lui racconta si facessero avanti per non essere dimenticati, e non solo loro, ma anche il pubblico si fa avanti, perché sta per perdere il suo cantore, il suo mentore e non avrà più chi potrà ricordare loro la magnificenza di Chaplin. Non è detto che quel che succede sulla scena corrisponda alla verità: Bazin potrebbe essere anche un contenitore, o una metafora dell’intellettuale, messo ai margini della storia, un diffidato, uno schedato dall’establishment, uno che non raggiungerà mai il potere.
Gli sono vicini la moglie Janine ( produttrice cinematografica ) e i personaggi dei suoi film preferiti: tra Clair , Renoir, Carnet…
Con questo spettacolo il teatro La Comunità festeggia i suoi 50 anni di attività ( 1972-2022)
Giancarlo Sepe
Personaggi ed interpreti
Bazin PinoTufillaro
Il Nazista Giuseppe Arezzi
Il Pilota Andrè Marco Celli
Janine Margherita Di Rauso
Batala David Gallarello
Christine Claudia Gambino
Lisette Francesca Patucchi
Severine Federica Stefanelli
Robert Guido Targetti
in Collaborazione con Diana O:R:I:S - Fondazione Teatro della Toscana
Con il Contributo Della Regione Lazio
WASHINGTON SQUARE
TEATRO LA COMUNITÀ
Marzo 2018
WASHINGTON SQUARE
(Storie Americane)
uno spettacolo di Giancarlo Sepe
ispirato al romanzo di Henry James
al Teatro La Comunità il nuovo spettacolo di Giancarlo Sepe Washington Square (Storie Americane) ispirato al romanzo di Henry James.
Lo spettacolo, presentato dalla Compagnia Orsini in collaborazione con la Compagnia del Teatro La Comunità diretta da Giancarlo Sepe, è interpretato da Sonia Bertin, Marco Imparato, Silvia Maino, Pietro Pace, Emanuela Panatta, Federica Stefanelli, Guido Targetti, Adele Tirante e con Pino Tufillaro. Le scene e i costumi sono di Carlo De Marino, le musiche sono a cura di Davide Mastrogiovanni e Harmonia Team, il disegno luci è di Guido Pizzuti.
Washington Square con il sottotitolo Storie Americane è, nello spettacolo di Sepe, un pamphlet dedicato alla lotta delle donne americane per ottenere la parità dei diritti. Un viaggio al femminile nella storia americana tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento.
Al centro della storia Catherine Sloper, minuta, insignificante e scialba di cui il padre, famoso medico della città, ne soffre le pochezze intellettuali e caratteriali, e che malvolentieri si trascina dietro per feste e balli.
In un ballo appunto la ragazza incontra Morris un bel ragazzo che si dice innamorato e pronto a sposarla. Il dottor Sloper si oppone energicamente, sicuro che il giovane sia più attratto dal suo patrimonio che dalla bellezza della figlia, inesistente.
Si scontra però con l’ostinazione di Catherine che cerca di sposare consapevolmente l’uomo "sbagliato", per esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, contro il parere dell'integerrimo padre e contro la società perbenista e puritana dei salotti “bene” di una New York tra la guerra di secessione e i primi anni Venti.
In Storie Americane, le vicende della più che benestante famiglia Sloper, si incastonano con quella delle famiglie che, emigrate dall’Europa, hanno creato il Nuovo Mondo, sopportando ogni tipo di disagio e di lotta per arrivare ad ottenere una terra e creare il loro futuro.
La scena è quella di una sala del museo cittadino dove le storie si dipanano tra cerimonie, matrimoni, funerali, nascite, esecuzioni, e feste nazionali, manifestazioni di suffragette, canzoni e ballate, in un susseguirsi di visioni del pensiero e della realtà cittadina, che al pari della storia della famiglia Sloper, si racconta tra solennità religiose e balli, agnizioni (l’apparizione dei familiari defunti) e romanze musicali, tutti alle prese con la nuova società americana: ingenua, puritana e violenta.
“James è uno scrittore essenziale e cattivo, che condanna senza ascoltare ragioni o alibi, egli fa dei sentimenti dei veri e propri mostri che popolano la mente dei suoi personaggi e gli ambienti dove essi vivono. James non concede tregua ai nostri sentimenti che hanno voglia di raccontarsi, invece che essere liquidati con piccole esternazioni cupe e cattive (come fa il dottor Sloper), egli non concede spazi alla festa dell’amore, la chiude invece in una esperienza di morte da cui non riesce più a liberarsi, una morte fatta di silenzi e di remissione dei peccati, quelli di sopravvivere a chi non c’è più. Si dice sempre che quelli che vanno via sono i migliori, allora quelli che restano non contano nulla, sono innocue figure fatte di dabbenaggini e di animi popolari che non amano le raffinatezze. Resta un’America che si celebra pensando però più ai morti che ai vivi” (Giancarlo Sepe)
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WERTHER a Broadway
gennaio 2018
WERTHER a Broadway
uno spettacolo di GIANCARLO SEPE
personaggi e interpeti
Perdicano Massimiliano Auci
Stella Sonia Bertin
Werther Marco Imparato
Rosina Federica Stefanelli
Camille Adele Tirante
Scene Alessandro Ciccone
Costumi Lucia Mariani
Musiche Davide Mastrogiovanni
a cura di Harmonia Team
Disegno luci Guido Pizzuti
Assistente costumi Tita Cuccia
Organizzazione Grazia Sgueglia
Ufficio Stampa Luana Nisi
Produzione Teatro La Comunità
Werther a Broadway ideato e diretto da Giancarlo Sepe, è un fantasioso viaggio del protagonista del romanzo epistolare di Goethe nel mondo del teatro americano degli anni Cinquanta, con echi di café chantant e teatro brechtiano.
Dopo Washington Square e Abecedario Americano Giancarlo Sepe chiude la trilogia dedicata al mondo dell’America degli Stati Uniti, fra gli anni quaranta e cinquanta, con Werther a Broadway.
“Werther, il personaggio romantico creato da Goethe, che scrive lettere all’amico Guglielmo, per confidarsi con lui del suo impossibile amore per Lotte, donna già impegnata, quindi non disponibile… Werther che pensa all’amore pur schiacciato, nella sua terra di Germania, in guerre sanguinose che umiliano i suoi sentimenti di pace, Werther che prima di darsi la morte, da lui fortemente voluta, ripara in America, a Broadway, capitale del teatro, in un viaggio della speranza dove, forse, cerca di dimenticare la sua donna ‘proibita’…
Attraversato l’oceano, incontra il teatro: un dedalo di passioni avvolgenti, dove si parla d’amore con le parole di Non si scherza con l’amore di Alfred De Musset. Attori che recitano e rappresentano i sentimenti sulla scena, che a volte non solo recitano, ma vivono sulla loro pelle, in un avvicendarsi di verità e finzione. Storie vere di camerino e storie finte di palcoscenico…
Si salverà il giovane Werther dai suoi neri propositi di morte?” (Giancarlo Sepe)
SUDORI FREDDI 2015
Pierre Boileau e Thomas Narcejac hanno scritto tra il 1952 e il 1991 una quarantina di romanzi tra cui alcuni capolavori del noir. Dalle loro storie sono state tratte diverse sceneggiature originali fra le altre, quella con Alfred Hitchcock per La donna che visse due volte e quella con Henri-George Clouzot per I diabolici.
SUDORI FREDDI tratto dai personaggi di Boileau e Narcejac è un omaggio a LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE di A.Hitchcock. Nella stesura originale l'azione si svolge a Parigi e a Marsiglia invece che a San Francisco, non negli anni '50, ma durante l'ultima guerra, tra tetti e padiglioni da fiera, tra bistrot e strade popolate da assassini, dove dai tetti cadono i disillusi d'amore e dove le etnie si intrecciano, tra una seduzione e un suicidio, un rapimento e un saccheggio. Vicini al realismo poetico di Prèvert e Cocteau ma lontani dagli amori felici, alla ricerca del feticcio della memoria che non ti aiuta più a vivere.
Giancarlo Sepe ha scelto di ispirarsi a questi prolifici autori per la creazione del suo nuovo spettacolo «Che suggestione trattare dei temi legati a un grande film! Di colpo il teatro sembra poter contenere nei suoi spazi angusti le geometrie e le prospettive di un set cinematografico, le strade di San Francisco con i suoi saliscendi, i pedinamenti fatti nel museo nazionale o al cimitero della città, insomma un sogno. Ne La donna che visse due volte, il protagonista, nell’inseguire un criminale, scopre di essere affetto dall’acrofobìa, da quel senso di perdita di coscienza e sballottamento che crea la vertigine (Vertigo è il titolo originale), la vertigine che ha come effetto immediato il sudore freddo, quello che nasce dalle paure notturne, dai grandi spaventi, dalla paura della morte. Nel leggere il romanzo di Boileau-Narcejac poi ecco arrivare la grande sorpresa: la storia non si svolge a San Francisco negli anni ’50 ma a Parigi nel 1939/40 e dopo a Marsiglia. Si respira un’atmosfera da realismo poetico alla Prévert e Cocteau, l’amore, quello vero, prende il suo posto centrale nella storia, la storia criminale si depotenzia e affiora un grande melò. […] Ho voluto provare a raccontare le cose che il film e il romanzo avevano trascurato e ne viene fuori un racconto ellittico, tutto inventato, tutto sotterraneo, fatto di camere mortuarie e funerali, di scene conturbanti, vive e sanguigne, tutto si svolge di notte come fosse raccontato da personaggi alla deriva, senza dimora… Un vero noir senza storia, con l’idea di raccontare le iconografie del giallo che fa da sfondo ad una storia passionale: uno struggimento pieno di dolore e rapinoso come la morte inferta dal proprio amore impossibile».
Uno spettacolo di GIANCARLO SEPE
con Lucia Bianchi, Federico Citracca, Guido Targetti, Federica Stefanelli, Gianluca Spatti, Giuseppe Innocenti, Pino Tufillaro
Scene e costumi Carlo De Marino
Disegno luci Marco Laudando, Guido Pizzuti
Musiche Davide Mastrogiovanni, Harmonia Team
THE DUBLINERS by James Joyce 2014/2015
THE DUBLINERS, by James Joyce/15: The Dead - Part 1
Ideato e diretto da GIANCARLO SEPE
Con (in ordine alfabetico):
Giulia Adami, Lucia Bianchi, Paolo Camilli, Federico Citracca, Manuel D’Amario, Giorgia Filanti, Domenico Macrì, Caterina Pontrandolfo, Guido Targetti.
1914 / 2014, a cento anni dalla pubblicazione di Gente di Dublino.
57° Festival di Spoleto
“Una performance colta e fantastica” Rita Sala – IL MESSAGGERO
“A riprova che il teatro di Giancarlo Sepe è da preferirsi struccato, quando si stampa sulla pelle, e si sente con gli occhi” Rodolfo Di Giammarco – LA REPUBBLICA
“I Dublinesi italiani creano inquiete emozioni” Rossella Battisti – L’UNITÀ
"Ogni vita è una moltitudine di giorni, un giorno dopo l’altro. Noi camminiamo attraverso noi stessi, incontrando ladroni, spettri, giganti, vecchi, giovani, mogli, vedove, fratelli adulterini. Ma sempre incontrando noi stessi."
James Joyce
“L’anima della ricerca, secondo me, è proprio legata allo spazio scenico che ne condiziona ritmi e visioni. Una sorta di itinerario virtuoso che farà incontrare tutti i personaggi di Joyce come in una lunga panoramica, dove conosceremo le famose Epifanie dell’autore, che nella mestizia delle piccole storie di piccoli uomini, caverà dall’apatia e dalla immobilità del quotidiano quella luce poetica che alimenta un popolo privo di qualunque stimolo e qualunque proiezione. Joyce fugge da quella paralisi emotiva dei suoi concittadini, che nella serata dell’Epifania si celebra intorno ad un’enorme tavola per festeggiarsi, ipocritamente, tra canti e balli. Qui i morti, dice l’autore, sono più vivi dei vivi, loro hanno lottato fino all’ultimo…”
Giancarlo Sepe